Onorevoli Colleghi! - L'esigenza di una pronta revisione del sistema di tassazione dei redditi da lavoro dipendente (nonché di quelli pensionistici e degli altri in varia guisa equiparati) è generalmente avvertita.
      Ciò sia in relazione al lievitare continuo del costo della vita, che rende progressivamente difficile il rinnovo dei contratti collettivi di lavoro in presenza, per quanto attiene al settore pubblico, di stringenti vincoli di bilancio e, per il settore privato, degli effetti della competizione internazionale, la quale erode i margini di redditività delle imprese, sia con riferimento all'equilibrio complessivo del sistema tributario che, nonostante la frequente opera di manutenzione da parte del legislatore, allontanandosi via via dall'impostazione originaria della riforma del 1973 ne evidenzia ed ingigantisce i vizi di fondo.
      Tra questi, il primo e più significativo, come universalmente riconosciuto, si lega alla scelta di sottoporre ad imposizione l'intero reddito lordo proveniente dal lavoro dipendente (discorso che in qualche misura si estende anche ai redditi di lavoro autonomo) a differenza di quanto avviene per le altre forme di reddito (da impresa, di ordine finanziario eccetera). Scelta che in qualche misura, con i connessi effetti distorsivi, si è ripetuta per quel che attiene alla imposizione sugli immobili, per i quali l'introduzione dell'imposta comunale sugli immobili (ICI), accanto all'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF), ha finito addirittura con il far rimpiangere il vecchio sistema dell'imposta sull'incremento del valore degli immobili (INVIM), il quale colpiva non solo l'aumento del valore dell'immobile ad ogni passaggio, ma anche l'incremento meramente nominale connesso ai processi inflattivi.
      E proprio il lungo periodo di inflazione seguito alla riforma tributaria del 1973 ha

 

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messo subito in evidenza i profili distorsivi della medesima in ordine all'imposizione sui redditi da lavoro dipendente sottoposti a un articolato sistema di aliquote, supportato da un'individuazione estremamente ridotta della base imponibile esente, configurando così un meccanismo di progressiva erosione dei redditi in questione, per cui i loro percettori sono stati via via incisi da aliquote superiori per il lievitare meramente nominale di redditi sostanzialmente rimasti immutati, se non addirittura ridotti, a seguito del processo inflattivo.
      Situazione aggravata dalla contemporanea incidenza sui redditi da lavoro dipendente della tassazione indiretta, il cui peso è inevitabilmente cresciuto a seguito dell'aumento dei prezzi connesso all'inflazione.
      Il principio base dei sistemi tributari moderni, cioè la non sottoponibilità dello stesso reddito a una doppia imposizione, è stato così palesemente violato, sia pure per ragioni connesse al complessivo controllo della grave situazione finanziaria in cui versava e versa il nostro Paese.
      Non è tuttavia ipotizzabile continuare su questa strada, pena i pericoli connessi ai gravi squilibri di un'imposizione gravante essenzialmente sui redditi da lavoro. Redditi che, invece, come attesta la stessa scienza attuariale, vanno valutati secondo la specificità che li contraddistingue rispetto alle altre tipologie reddituali. Essi si connotano infatti con riferimento al notevole sforzo connesso al mantenimento nel tempo del complesso di condizioni fisiche, psichiche, sociali e di vita che sono alla base della capacità reddituale di lavoro delle persone fisiche, con chiare implicazioni anche a livello dei notevoli costi economici che tale mantenimento richiede.
      E certo a rendere accettabile la situazione non vale l'indefinito e riduttivo meccanismo di nettizzazione del prelievo operato nella legislazione attuale attraverso l'individuazione di una ridotta base reddituale esente da imposizione, con possibilità estremamente contenuta di dedurre spese talora indispensabili allo stesso mantenimento materiale del lavoratore e dei familiari.
      Infatti, l'estrema contenutezza di questa soglia, sovente addirittura inferiore - come avvenuto negli anni ottanta - ai livelli reddituali che consentivano, secondo la giurisprudenza della Corte dei conti, di affermare, ai fini del conseguimento della reversibilità pensionistica, la sussistenza del requisito della vivenza a carico, mostra che la medesima, nei termini in cui si configura, al più segna un limite minimo di sussistenza, rispetto al quale non si può parlare di una capacità del lavoratore di produrre un reddito tassabile.
      L'indispensabile nettizzazione del reddito lordo imponibile dei lavoratori dipendenti non può essere d'altra parte respinta neppure sotto il profilo del principio di progressività dell'imposizione affermato dalla Costituzione. Infatti questo principio, come ha affermato la Corte costituzionale con la sentenza n. 179 del 1976, dichiarativa dell'illegittimità della tassazione cumulativa del reddito dei coniugi, non può non tenere fermo l'altro principio, pure sancito nell'articolo 53 della Costituzione, che lega l'imposizione alla capacità contributiva nonché, ancora, i princìpi di uguaglianza e di tutela della famiglia.
      Quanto ai meccanismi con cui realizzare la nettizzazione della base imponibile, essi possono essere ovviamente vari, risultando connessi anche all'efficienza dell'apparato tributario.
      Una prima strada su cui certamente ci si deve in prospettiva muovere è quella di ammettere a deduzione tutte le spese funzionali al mantenimento di un adeguato tenore di vita del lavoratore e della sua famiglia, ivi comprese le spese dell'istruzione, dell'abitazione, dell'aggiornamento e dello stesso indispensabile riposo, superando il meccanismo delineato dagli articoli 10 e 51 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, il quale non solo non fornisce una nozione unitaria degli oneri deducibili, ma li lega, invece, strettamente, pur facendo riferimento alla deduzione delle spese necessarie alla vita, agli obiettivi
 

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contingenti di politica economica. Resta ferma l'esigenza di arrivare a delineare meccanismi tali da sottrarre all'imposizione diretta le imposte indirette corrisposte sulle spese citate.
      Strada più agevole in vista dell'obiettivo di sottrarre all'imposizione diretta tutte le spese funzionali al mantenimento di un adeguato tenore di vita del lavoratore e della famiglia, secondo i dettami della Costituzione, sembrerebbe rinvenirsi peraltro nell'introduzione di una percentuale di abbattimento dell'imponibile da lavoro dipendente. Percentuale che potrebbe essere individuata in misura fissa, ovvero, a partire da certi limiti di reddito percepito dal lavoratore, in misura inversamente proporzionale all'aumento del medesimo.
      In tale prospettiva si collocano le disposizioni contenute nella presente proposta di legge di delega al Governo per la revisione della disciplina concernente l'imposizione sui redditi di lavoro dipendente e assimilati.
 

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